Oggi navighiamo con Ghiaroni nelle acque calabresi che hanno protetto e garantito la conservazione dei celeberrimi Bronzi di Riace. Nel mondo dell’arte, così come in quello della chimica, ci sono figure che hanno lasciato un’impronta indelebile grazie al loro impegno e alla loro competenza. Uno di questi pionieri è Marcello Miccio, un chimico che ha giocato un ruolo cruciale nel primo importante restauro dei Bronzi di Riace negli anni ’70.
Il contributo di Marcello Miccio
L’avventura di Miccio inizia con la scoperta straordinaria dei Bronzi di Riace, due statue di bronzo risalenti al V secolo a.C. ritrovate nel 1972 al largo della costa ionica della Calabria. Questo eccezionale ritrovamento ha attirato l’attenzione internazionale, ma ha anche sollevato la questione urgente del restauro e della conservazione di queste opere d’arte così perfettamente integre.
Marcello Miccio, con la sua esperienza nel campo della chimica e della conservazione, è stato uno dei protagonisti di questo sforzo collettivo. Ha contribuito con la sua conoscenza specialistica nel trattamento dei materiali, nell’analisi dei processi di corrosione e nell’identificazione delle migliori pratiche per il restauro dei manufatti in bronzo.
Un’analisi approfondita del restauro dei Bronzi di Riace
Durante il restauro dei celebri Bronzi di Riace negli anni ’70, un passo cruciale fu l’attento esame condotto da restauratori e tecnici di laboratorio. Le due statue furono esaminate e documentate, fotografate in dettaglio per registrare lo stato delle superfici e poi sottoposte a un esame radiografico approfondito.
I risultati di quest’analisi, supportati da saggi di pulitura eseguiti in aree limitate e finalizzati a valutare il grado di corrosione e la coesione delle incrostazioni, rivelarono uno stato di conservazione sorprendentemente ottimale delle superfici esterne dei bronzi.
La patina nobile dei Bronzi di Riace
Cosa ha garantito la conservazione durante tutti questi secoli? Questo risultato fu attribuito principalmente all’ambiente marino costante e alla bassa presenza di flora batterica nell’area in cui le statue furono rinvenute. Ma non solo. Molte aree delle superfici erano interessate da estese formazioni di patina “nobile”, caratterizzata da ossidazioni con una struttura cristallina compatta. Sia sulla statua A di Riace sia sull’efebo di Maratona è stato trovato Chalcocite (solfuro di rame), una patina nera molto compatta, ottenibile trattando la statua con prodotti sulfurei, come suggerito nell’antichità dagli Egizi.
L’assenza di gravi fenomeni corrosivi o deformazioni significative nelle matrici metalliche dei bronzi, così come la presenza di saldature e la distribuzione uniforme delle barre di supporto interne, furono altri risultati significativi dell’analisi radiografica. Nonostante le sfide tecniche legate all’impiego di raggi gamma anziché raggi X, l’esame delle 72 lastre che componevano le due statue fornì informazioni cruciali per il restauro.
Un approccio interdisciplinare unico tra arte e chimica
Questo studio approfondito sottolinea l’importanza dell’approccio interdisciplinare nel restauro del patrimonio culturale e dimostra l’efficacia delle moderne tecniche diagnostiche nel garantire la conservazione a lungo termine di opere d’arte antiche di grande valore storico e artistico.
Attraverso meticolose analisi chimiche e fisiche, Miccio e il suo team hanno sviluppato strategie innovative per preservare l’integrità dei Bronzi di Riace. La sua dedizione e il suo impegno nell’assicurare la conservazione di queste opere d’arte hanno dimostrato l’importanza della collaborazione interdisciplinare nel campo della conservazione del patrimonio culturale.
Oggi i Bronzi di Riace sono ancora ammirati e studiati in tutto il mondo. Il loro restauro rappresenta un trionfo della scienza e dell’arte, un esempio tangibile dell’impegno incessante per preservare e proteggere il nostro prezioso patrimonio culturale per le generazioni future.
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